Marta e Olmo
21:00 - 24 Novembre 2023
Teatro Salomone, Cherasco Visualizza Mappa

Marta e Olmo

Marta conosce la prima linea, seppellisce i poveri corpi
a qualunque schieramento appartengano

Drammaturgia e regia
Giordano V. Amato


Con
Amandine Delclos
Andrea Chiapasco


Produzione
Il Mutamento Zona Castalia


Collaborazione produttiva
Accademia dello Spettacolo

Lo spettacolo è parte della rassegna Cibo per la Mente a cura de Il Teatro delle Dieci

Nel 1915, nel corso della Grande Guerra, nei territori di confine tra Italia e Austria, il cammino del piccolo Olmo, figlio di un’italiana e di un austriaco, incontra quello di Marta, giovane portatrice.
Marta conosce la prima linea e, come una novella Antigone, seppellisce i poveri corpi abbandonati, a qualunque schieramento appartengano.

Lo spettacolo narra di due adolescenti che affrontano la paura, la deportazione, la separazione, tutti gli orrori e le mostruosità della guerra che determinerà il loro destino. Testimonianze vere si inseriscono su una storia fantastica che ha per centro il rifiuto della guerra e l’eroismo al femminile, ignoto ai più.
Gli studi prodotti sulla Grande Guerra negli ultimi anni hanno fornito indagini su aspetti in precedenza trascurati; si pensi all’impatto che la guerra ebbe sulla popolazione civile e al ruolo che quest’ultima, sotto la spinta di una mobilitazione di massa da cui nessuno poté sottrarsi, venne ad assumere all’interno degli ingranaggi della macchina bellica.

Lo spettacolo indaga il ruolo degli adolescenti e delle donne durante il conflitto, ponendo l’accento sulla straordinaria “pagina” delle portatrici carniche, scritta tra l’agosto del 1915 e l’ottobre del 1917, e forse unica nella storia dei conflitti armati.

Le portatrici carniche
La Zona Carnia, ove erano dislocati 31 battaglioni, aveva un’importanza strategica nel quadro generale del fronte, in quanto rappresentava l’anello di congiunzione tra le Armate schierate in Cadore alla sinistra, e quelle delle prealpi Giulie e Carso sulla destra. Costituiva quindi un’importante difesa dalle maggiori direttrici di movimento del nemico: quelle del Passo di Monte Croce Carnico e del Fella.

La linea di combattimento rifornita dalle portatrici di Paluzza e dagli altri comuni dell’Alto But, Sutrio e Cercivento, aveva un’ampiezza di circa 16 chilometri, poiché si estendeva dal Monte Coglians al Monte Cuestalta, comprendeva inoltre le posizioni arretrate di Monte Terzo e Lavareit.
Tutta la prima linea Zona Carnia e in particolare il Sotto settore Alto But, era particolarmente “calda”. La forza media presente nella zona si aggirava intorno ai 10-12 mila uomini.
I soldati, pervivere e combattere nelle migliori condizioni di efficienza materiale e morale, avevano bisogno
giornalmente di vettovaglie, munizioni, medicinali e materiali per rinforzare le postazioni, e attrezzi vari. I magazzini e i depositi militari, dislocati in fondovalle, non avevano collegamento con la linea del fronte, non esistendo rotabili che consentissero il transito di carri a traino animale o di automezzi. La guerra si faceva sulle montagne e i rifornimenti ai reparti schierati dovevano essere portati a spalla.
La situazione venutasi a creare con i feroci combattimenti, non permetteva di sottrarre dei soldati dalle linee per adibirli a questo servizio. Ecco quindi che il Comando Logistico della Zona e quello del Genio, chiesero aiuto alla popolazione.
Ma a chi? Gli uomini validi erano tutti alle armi, nelle case solo donne, anziani e bambini. Le donne di Paluzza avvertirono la gravità della situazione, e aderirono all’invito drammatico a mettersi a disposizione dei Comandi Militari per trasportare a spalla quanto occorreva agli uomini della prima linea.
Le portatrici furono dotate di un bracciale rosso con stampato il numero del reparto da cui dipendevano; il carico dei rifornimenti da portare alle prime linee, era mediamente di 30 – 40 kg e anche più. L’età variava da quindici a sessant’anni e, nelle emergenze, potevano essere affiancate anche da vecchi e bambini. Se necessario, venivano chiamate a ogni ora del giorno e della notte.

Ricevettero il compenso di una lira e cinquanta centesimi a viaggio, equivalenti a circa 3,00 € di oggi. In tre furono ferite: Maria Muser Olivotto, Maria Silverio Matiz di Timau e Rosalia Primus di Cleulis. Maria Plozner Mentil fu invece colpita a morte. Queste donne avevano ereditato la fatica dal loro passato. Abituate da secoli per l’estrema povertà di queste zone, a indossare la “gerla” di casa – che mai come in questo caso può rappresentare il simbolo della donna carnica, ora la mettevano sulle spalle al servizio del Paese in guerra. Fino a allora l’avevano caricata di granturco, fieno, legna, patate e tutto ciò che poteva servire alla casa e alla stalla. In questa situazione invece la gerla era carica di granate, cartucce, viveri e altro materiale. Venne costituito un vero e proprio Corpo di ausiliarie formato da donne più o meno giovani, della forza pari a quella di un battaglione di circa 1.000 soldati. Con disciplina militare, ma non militarizzate, partivano a gruppi di 15, 20 senza guide imponendosi una tabella di marcia; a fondovalle, con la gerla carica “attaccavano la montagna” dirigendosi a raggiera verso la linea del fronte. I dislivelli da superare andavano da 600 a 1.200 metri, quindi con due o quattro ore di marcia in ripida salita arrivavano a destinazione col cuore in gola, stremate dalla disumana fatica, che diventava ancor più pesante d’inverno, quando affondavano nella neve fino alle ginocchia.

Scaricavano il materiale, una sosta di pochi minuti per riposare, per portare agli alpini al fronte qualche notizia del paese e magari consegnare loro la biancheria fresca di bucato, portata giù a valle, da lavare, nei giorni precedenti. Si incamminavano poi in discesa, per ritornare a casa, dove c’erano ad aspettarle i bambini, i vecchi, la cura della casa e della stalla. All’alba del giorno dopo si ricominciava con un nuovo “viaggio”. Qualche volta, per il ritorno veniva chiesto alle portatrici di trasportare a valle, in barella, i militari feriti o quelli caduti in combattimento. I feriti erano poi avviati agli ospedali da campo, i morti venivano seppelliti nel Cimitero di guerra di Timau, dopo che le stesse portatrici avevano scavato la fossa.

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